In questo preciso momento avremmo
dovuto essere in navigazione per l’Inghilterra. E invece siamo di nuovo in
Spagna, a La Coruña. Abbiamo dovuto mettere la barca a terra e
c’è un poco di delusione ma non è successo niente di grave. Si tratta, a ben
vedere, solo di un contrattempo. Eravamo diretti a Falmouth, sfruttando una
finestra di vento favorevole per attraversare il Golfo di Biscaglia. Invece di
arrivare in terra d’Albione siamo in terra spagnola e ci resteremo ancora,
nell’attesa di fare delle riparazioni. Che cosa è successo? Qualche giorno fa abbiamo lasciato l’ormeggio
di Camarinas, presto al mattino, con la ferma intenzione di affrontare il Golfo
di Biscaglia. Tutto a bordo era in ordine e dovevo solo fare i “giri bussola”,
una procedura che serve a rilevare gli errori della bussola magnetica. Per fare
questo sfrutto le mede di ingresso del fiordo di Camarinas, di cui conosco
l’allineamento geografico. Dopo un po’ di va e vieni su rotte prefissate e il
loro reciproco, un po’ di calcoletti, solo addizioni e sottrazioni, niente di
difficile, posso disporre di un bel diagramma che mi dice qual è la deviazione
della bussola in corrispondenza di qualsivoglia valore di prua. E’ un parametro
molto importante su una barca d’acciaio, poiché su certe prue l’errore supera i
20°. Durante tutta la giornata siamo
andati bene, avevamo percorso una cinquantina di miglia sfruttando anche il
motore, perché il vento era scarso. Il tempo era molto bello e c’eravamo ormai
immersi nell'atmosfera della traversata. Io avevo in mente principalmente due
cose. Seguire con attenzione la situazione meteorologica e preparare
l'atterraggio a Falmouth o, in alternativa, a Brest. Quest'ultimo porto poteva
diventare importante come meta alternativa nel caso che si fosse materializzata
una sventolata da nord ovest, cosa che nel Golfo di Biscaglia è sempre
possibile. Verso le cinque del pomeriggio ero in cuccetta, a riposare, quando un
rumore anomalo, proveniente dal vano motore, mi ha fatto schizzare in piedi.
Devo fare un inciso e tornare indietro di due settimane circa. Eravamo ancora a
Lisbona ed ero dovuto intervenire sull'alternatore per dei problemi elettrici.
I guai elettrici li avevo risolti ma, nella stessa occasione, avevo notato che
il supporto del suddetto alternatore mostrava dei segni di usura; non sembrava
una cosa grave e decisi di non intervenire subito ma di rimandare la
sistemazione del problema. Torniamo ora al rumore che si udì mentre eravamo in
navigazione. Ho naturalmente spento il motore, sollevato i paglioli, fatti i
controlli e la risposta è stata netta: non potevamo più contare
sull'alternatore, il suo supporto, appunto già malandato, stava per rompersi
completamente. Poco male, a bordo abbiamo due pannelli fotovoltaici e un
generatore eolico che, facendo economia di corrente, ci possono dare energia
bastante ai bisogni medi della giornata. Smonto la cinghia e immobilizzo
l'alternatore, in modo da non sollecitare ulteriormente il supporto. Quindici
minuti di lavoro in tutto. Avevo già terminato quando un gocciolio, che era
stato presente sin da quando avevo sollevato i paglioli, ma che non avevo
focalizzato fino allora, attira la mia attenzione. Un’ispezione e la risposta è
terribile: la tenuta dell'asse perde, a dire il vero non copiosamente, ma in
modo continuo. Su Ulyxes, oltre agli anelli di tenuta dell'acqua veri e propri
ci sono, nella stessa zona, due cuscinetti a sfera, sono dei reggispinta, uno
per la marcia avanti e uno per quella indietro. L'acqua salata che gocciola
passa proprio attraverso i cuscinetti, perciò si può immaginare che disastro
può combinare sulla superficie lucidata a specchio delle sfere e delle piste.
L’eventuale avaria dei cuscinetti è di quelle serie e davvero non era saggio
continuare facendo finta di niente e sperare nella buona stella. Inizialmente
mi sono sentito veramente male dentro. Ho maledetto la sfortuna e ho visto nero
sul futuro del viaggio. Mi sono tornate alla mente le difficoltà della prima
partenza nel novembre 2003 quando tutto ha congiurato affinché non riuscissi ad
arrivare a Gibilterra. Mi è tornato alla mente quanto i venti contrari ci
abbiano tenuto fermi ad Almeria, a Portimaõ e a Lisbona. Ho ripensato ai vari problemi
tecnici avuti in questi primi due mesi e, insomma, mi sono vittimizzato un
tantino. Mi intristiva soprattutto il pensiero che la Norvegia fosse ancora
tanto lontana. Quest’ulteriore ritardo l'avrebbe allontanata ancora di più. Che
cosa dire poi delle prospettive della riparazione? A Cagliari, ovviamente, non
avrei avuto problemi ad organizzare i lavori e a terminarli in pochissimo
tempo, ma qui, nel bel mezzo di terre e acque sconosciute, non sapevo neppure
da dove cominciare. Anzi, a dire il vero, dovevo ancora decidere verso quale
porto dirigere. Le opzioni erano due: La Coruña e Brest. La prima aveva il vantaggio
d’essere vicina e, essendo spagnola, forse poteva darci dei vantaggi circa la
comprensibilità della lingua e l'atteggiamento della gente, più vicina a noi
che non i francesi. La seconda aveva il vantaggio di essere lungo la nostra
strada (e i venti erano previsti a favore), ed inoltre, essendo Brest un grande
porto, aveva sicuramente le risorse tecniche necessarie alle riparazioni. Sullo
sfondo poi c'era la questione economica, lavori come quelli che si
prospettavano hanno in genere un impatto economico notevole e il budget di
manutenzione era già pericolosamente in rosso. Comunque era necessario
decidere, per questo abbiamo cercato di chiarirci le idee discutendo i vari pro
e contro. Amalia era sin dagli inizi per La Coruña. Io invece avevo una
leggera preferenza per Brest perché era sulla nostra rotta e non avrebbe
significato un ritorno indietro. Poi, pesando tutti gli argomenti, e tenuto
conto che il vento si era messo, inaspettatamente, da NO Forza 3-4, ho tirato una linea sulla carta
nautica, rotta vera 125°, 35
miglia per La
Coruña o, come dicono in lingua gallega, “A Coruña”. La notte
l'ho trascorsa al timone. Anche Scipio non ne voleva sapere più di praticare il
suo mestiere. Timonava come un nocchiero sbronzo, andava diritto per un pò e
poi, improvvisamente di "addormentava" e lasciava andare Ulyxes fuori
rotta, ineffabilmente, senza fare una piega, come se non fosse stato suo dovere
correggere. Inspiegabile. Non riferisco le male parole che gli ho indirizzato
ma ero anche molto preoccupato. Se pure Scipio necessitava di riparazioni
potevo ben annunciare il mio prossimo cambio di sport: mi sarei dato
all'ippica. Lì, una svolta sfamato e ferrato il quadrupede, resta solo che
montarlo e farsi la galoppata, non ci sono molti meccanismi che possano
rompersi, a meno che non si rompa il suddetto quadrupede ...
Quindi, in queste poco rassicuranti condizioni tecniche, abbiamo navigato, evitato i soliti pescherecci, seguito con
precisione chirurgica le indicazioni del portolano in modo da evitare le secche
e i bassifondi che infestano le acque di fronte a La Coruña.
Ci siamo messi in prua il più
antico del faro del mondo ancora funzionante, la torre di Hercules, costruito
nel II secolo dell'era cristiana dai Romani. Abbiamo traversato zone di mare
coperte di schiuma di origine urbana (ah, l'inquinamento!), e, infine siamo
entrati nel grande porto. Malgrado lo stato d'animo basso, l'ingresso nel porto
sconosciuto è stato carico di piacevole tensione, come mi capita sempre in
queste situazioni, e poi la ria (in spagnolo “ria” sta per fiordo) è veramente
spettacolare.
Questi paesaggi costieri
galiziani, cosiddetti appunto “a rias” sono molto belli. Già a Camarinas era
stato emozionante entrare nelle affrattuosità, mai anguste però, di queste
antiche valli fluviali, ora sommerse dalle acque dell'oceano.
Le foreste e i prati verdissimi
si estendono giù fino alla riva, le abitazioni e i centri abitati hanno
caratteri totalmente differenti da quelli della Spagna mediterranea. Hanno un
che di nordico, anche in un certo quale ordine e compiutezza delle costruzioni.
Ma torniamo al porto di La Coruña e al suo Club
Nautico, scalcagnato come pochi. Si trova proprio sotto l’immancabile forte
d’epoca.
Trovare un ormeggio non è stato
semplicissimo, all'ingresso ci sono molte barche sia all'ancora che alla boa e
bisogna fare lo slalom fra di esse per arrivare ai derelitti pontoni del Club.
Guardando con attenzione tra le barche già ormeggiate bisogna poi individuare
uno spazio vagamente libero e ivi inocularsi senza tanti complimenti. Così
abbiamo fatto e, dopo aver ormeggiato, qualcuno è arrivato per dirci
che...potevamo stare dove eravamo. Bene, intanto siamo in porto. Dobbiamo
riparare la barca ma ne riparleremo, per ora ci godiamo questo scalo
inaspettato.
PS: Il problema di Scipio era di facile
soluzione, le solite cimette incasinate.
Dal giornale di bordo:
Siamo arrivati ieri a
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